Senegal. Tutto pronto per il referendum del 20 marzo

di Valentino De Bernardis –

sall mackyPuò una cavalcata trionfale trasformarsi in un suicidio politico? Potenzialmente si, ma è molto difficile; se però il contesto politico analizzato è quello di una democrazia non completamente matura, e magari situata in africa sub-sahariana, le probabilità crescono oltremisura. Questo è quello che sembra stia accadendo nelle ultime settimane al presidente della repubblica senegalese Macky Sall, impegnato a promuovere un progetto di riforma costituzionale in cui si gioca moltissima parte della sua avventura politica.
Con il decreto presidenziale 2016-306 dello scorso 29 febbraio, controfirmato dal primo ministro Mahammed Boun Abdallah Dionne, l’elettorato senegalese sarà chiamato il 20 marzo ad esprimere, attraverso un referendum confermativo, il proprio consenso su una serie di riforme alla carta costituzionale del 2001. Tra le quindici revisioni in attesa di ratifica popolare, quella che maggiormente rischia di erodere il consenso popolare attorno alla coalizione al potere Uniti nella speranza (Benno Bokk Yakaar) riguarda una particolare specifica circa la durata dell’incarico presidenziale. Nonostante Sall, in controtendenza rispetto al modus operandi di molti altri leader africani (solo per fare alcuni esempi in Gibuti, Togo, Ruanda, Burundi e Angola, ma la lista potrebbe continuare ancora), si sia impegnato ad introdurre norme che fissino un orizzonte temporale ben definito alla carica presidenziale, la tensione politica è andata ad accrescersi su alcune questioni più che altro simboliche, ma non per questo politicamente meno rilevanti. L’introduzione di una età massima (75 anni) per chiunque volesse candidarsi alla presidenza del paese, mentre precedentemente era solamente richiesta una età minima di 35 anni per ricoprire la carica (articolo 28), la riduzione del mandato presidenziale da sette a cinque anni (articolo 26) e la consecutivi dello stesso a solo due rielezioni (articolo 27), pur andando nella direzione richiesta di una maggiore modernizzazione della struttura democratica nazionale, sono stati quasi azzerati dal tema dell’entrata in vigore delle stesse norme. Su tale questione rischia di compiersi il già citato suicidio politico di Sall, perché la decisione di non rendere retroattiva la norma sulla durata della carica presidenziale, in sostanza di portare a scadenza l’attuale mandato nel 2017 e non nel 2019, ha avuto non solo il demerito di riunificare le forze di opposizione sotto la bandiera del “fronte del no” (costituito ufficialmente il 24 febbraio), ma anche di minare la credibilità politica all’interno di quella società civile che è stato un elemento chiave nella elezione di Sall nel 2012, in grado di mobilitare una fetta sempre più consistente dell’elettorato. Un esempio chiave è dato dalle attivissime organizzazioni giovanili come Y’en a Marre, un tempo alleata imprescindibile contro il tentativo dell’ex presidente Abdoulaye Wade a correre per un terzo mandato, oggi rivela impegnato in una intensa campagna sui social media per boicottare l’appuntamento referendario di fine mese. Maggiori crepe si sono aperte tra le diverse anime della coalizione al potere, con posizioni distanti e difficilmente concilianti. Se da una parte si ha ad esempio il presidente dell’Assemblea Nazionale Moustapha Niasse e il leader del Partito Socialista (PS) Ousmane Tanor Dieng pronti a non far mancare sostegno all’iniziativa presidenziale, voci opposte si sono alzate dal sindaco di Dakar, Khalifa Sall, e dall’imam M’baye Niang, segretario dell’Assemblea nazionale in aperta antitesi co la strada tracciata.
Un cambio di direzione rispetto a quanto promesso in campagna elettorale quattro anni fa, motivato da Sall con il dovere istituzionale di ascoltare i suggerimenti e commenti del Consiglio Costituzionale sulle modifiche approvate, a non rendere retroattive le norme, per evitare precedenti pericolosi. Una giustificazione in linea di principio forte di una importante base giuridica, ma che senz’alcun dubbio sarebbe potuta essere superata annunciando semplicemente l’intenzione di dimettersi e convocare elezioni anticipate nel 2017.
Si preannuncia quindi una ultima settimana di aspra campagna referendaria, con gli attori in campo impegnatissima a battere palmo a palmo il paese, in una sorta di referendum sulla presidenza Sall, in un momento in cui il tasso di popolarità presidenziale non è particolarmente alto. Intanto per assicurarsi una ampia affluenza alle urne (che di per sé già rappresenterebbe una prima vittoria), l’esecutivo ha provveduto in tempo record a rinnovare le cartelle elettorali scadute; mentre lo stesso Sall è impegnato ad incontrare personalmente gli influenti membri della società civile e religiosa capaci di indirizzare con le loro parole una enorme quantità di voti (specialmente quelli delle città sante di Touba e Tivaouane).
Il risultato del 20 marzo si riverbererà pure sulle elezioni parlamentari del 2017, quando il partito presidenziale Alleanza per la Repubblica (APR) potrebbe avere più difficoltà del previsto a riconfermare i 65 seggi (su un totale di 150) eletti in parlamento, e Sall trovarsi di fronte ad un parlamento non più amico.

@debernardisv
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