Tibet. 42ma vittima. Silenzio della Comunità internazionale

di Gaetano de Pinto –

Dal 2009 ad oggi sono ormai 42 i giovani tibetani che si sono immolati per attirare l’attenzione sulla sistematica violazione dei diritti umani del proprio popolo, l’ultimo il 7 luglio scorso nella regione di Damshung. Sono quindi 42 le vittime che pesano sulle coscienze dei governanti di quella comunità internazionale cosiddetta civile,  nonché di quell’ente inutile chiamato ONU. Inutile perché non sono bastate 3 risoluzioni Onu (1959-1961-1965), oltre che decine di risoluzioni approvate dagli Usa e dall’Ue per fermare quello che sembra essere un vero e proprio genocidio culturale e politico di un popolo. Del resto si parla dello stesso organismo internazionale che è sbeffeggiato continuamente da Israele e che non riesce a fermare le violenze in Siria.
Dal 1950 il popolo tibetano è sottomesso alla feroce repressione cinese, che di fatto impedisce lo studio della propria lingua e delle proprie tradizioni culturali, sottoponendo la popolazione a continue vessazioni e a trattamenti a dir poco crudeli. Al popolo tibetano non è concesso viaggiare o spostarsi con mezzi pubblici se non presentando decine di documenti che neanche a dirlo sono di difficile compilazione, come anche è concessa la partecipazione ai concorsi pubblici solo se si conosce il cinese in modo perfetto. Una nuova stella di David gialla, cucita sulle anime di quei pochi tibetani rimasti ancora in patria, visto che ogni anno gli esiliati e i profughi aumentano in modo esponenziale ed il tutto sotto l’attenta regia di Pechino che costruisce fabbriche nella zona, importando ovviamente manodopera cinese con la promessa di stipendi più alti e ferie più lunghe, a scapito del popolo tibetano.
Inoltre per il popolo tibetano il diritto di parola è praticamente inesistente, migliaia di tibetani sono imprigionati e torturati in fatiscenti carceri senza ricevere il giusto processo, le donne sono costrette a subire involontariamente la sterilizzazione e l’aborto, i tibetani sono perseguitati per il loro credo religioso e i monaci sono costretti a subire sessioni di “rieducazione patriottica”, a denunciare il Dalai Lama e a dichiarare obbedienza al Partito comunista.
Per la famosa “primavera araba” è bastato il gesto del giovane tunisino  Mohamed Bouazizi, il quale si è dato fuoco per protestare contro gli abusi della polizia, bensì per il rispetto del popolo tibetano (non tanto per la sua indipendenza) non bastano 42 immolazioni, 87 mila civili uccisi dal governo cinese nel marzo del 59 ed oltre un milione di morti per le infami condizioni economiche a cui è sottoposto il Tibet.
La comunità internazionale è quindi colpevole di favoreggiamento per la sistematica violazione dei diritti umani in quelle terre, un silenzio che pesa sulle coscienze di tutti noi tutti in nome del dio denaro che la Cina oggi sa rappresentare.