Trump d’Arabia. Chiude gli occhi sui diritti civili in cambio di lotta al terrorismo (e di commesse miliardarie)

di Enrico Oliari

Il presidente Usa Donald Trump è riuscito nella difficilissima impresa di lasciare a casa le polemiche sul Russiagate e a trasformare la sua missione in Arabia Saudita in un successo diplomatico e commerciale. Sostanzialmente ai danni dell’Iran, uno dei tre attori che cercano di contendersi il controllo del Medio Oriente, insieme a Qatar e, appunto, Arabia Saudita.
Riuscendo per la prima volta ad evitare gaffe e a evitare grattacapi per staff e diplomatici, Trump ha teso una mano al mondo islamico auspicando l’impegno delle tre religioni monoteistiche, ma in primi dell’Islam, ad operare per la pace in Medio Oriente.
Il concetto chiave è che non si guarderà ai diritti civili nei paesi musulmani, ai minimi termini proprio in Arabia Saudita, in cambio di una concreta e condivisa lotta al terrorismo e della stabilità dell’area. “Questa non è una lotta tra le diverse fedi, sette o civiltà – ha detto Trump -. Questa è una lotta tra criminali barbarici che cercano di annullare la vita umana e le persone di tutte le religioni che cercano di proteggerla. Questa è una lotta tra il bene e il male”.
Un patto, insomma, al quale hanno risposto positivamente la cinquantina di paesi a maggioranza sunnita presenti, dall’Albania al Burkina Faso, dalla Tunisia all’Uzbekistan.
Paesi sunniti, ma non tutti i paesi islamici. Poiché l’atavica guerra fra sciiti e sunniti è oggi viva più che mai ed è fomentata un po’ da tutti, dall’Iran ma anche dall’Arabia Saudita, ed è puntualmente giocata su altri scacchieri, si veda la Siria, lo Yemen, l’Iraq è il Bahrein.
Ma è verso l’Iran che il presidente Usa fa la voce grossa, il capro su cui gettare tutti i mali del Medio Oriente, colpevole di tutto, terrorismo compreso, anche se poi Trump stesso riesce a piazzare 110 miliardi in armi a Riad ed altri 200 miliardi di commesse. E se in Arabia Saudita le libertà individuali sono meno di zero, basti pensare che è punita con la morte la predicazione del cristianesimo e che lí la monarchia e assoluta, l’Iran che ha appena rieletto Hassan Rohani continua per Trump ad essere il nemico pubblico numero uno, da isolare, posizione che si pone al contrario della politica di apertura di Barack Obama.
Il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif ha ironizzato sugli attacchi mossi da Trump, ed è difficile dargli torto: “L’Iran, che ha tenuto elezioni vere e proprie, viene attaccato dal presidente degli Stati Uniti in quel bastione di democrazia e moderazione (che è l’Arabia Saudita): si tratta di politica estera o solo di mungere miliardi di dollari?”.