Uzbekistan. Elezioni (ri)vinte da Karimov: premiata la divisione dei poteri tra clan

di C. Alessandro Mauceri –

karimov islamSi sono svolte domenica in Uzbekistan le elezioni presidenziali: ad essere eletto, anzi rieletto, è stato Islam Karimov, presidente dell’Uzbekistan ininterrottamente dal 1989, data della dichiarazione di indipendenza del paese dalla Russia. Da allora l’Uzbekistan è sempre stato governato da lui, che prima dell’indipendenza era segretario del Partito Comunista.
La Costituzione del paese vieta al presidente di essere eletto per più di due mandati. Nel 1995 però Karimov, grazie ad un referendum popolare, ha esteso il proprio mandato fino al 2000. “Nonostante nella Costituzione sia indicato chiaramente il limite a due mandati consecutivi, la commissione elettorale centrale ha registrato comunque il presidente uscente come candidato” si legge in un documento degli osservatori internazionali. Quell’anno è stato rieletto con oltre il 91,9% dei voti, suscitando non poche critiche da parte di alcune organizzazioni internazionali come l’Ocse. Nel gennaio 2002, con un altro referendum, ha ulteriormente esteso il mandato presidenziale di altri 7 anni.
Secondo alcuni la sua rielezione è stata resa possibile grazie all’assenza di una vera opposizione nel paese: “Il presidente ha dominato il panorama politico senza una vera opposizione”. Stando al resoconto degli inviati dell’Ocse, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione, nel corso delle elezioni e della campagna che le ha precedute, si sarebbero verificati alcune anomalie: la possibilità di presentarsi come candidato indipendente nel paese è praticamente inesistente e alcune libertà fondamentali di associazione e di espressione sono limitate.
Per i fautori del rieletto presidente Karimov, invece, a parlare sono i numeri: la partecipazione al voto è stata superiore al 91% e oltre il 90% dei votanti, 17,2 milioni di persone, hanno chiesto di confermare Karimov presidente.
Al di là delle critiche, il ruolo svolto da Karimov è tutt’altro che semplice. L’Uzbekistan, infatti, occupa una posizione strategica estremamente importante: è posizionato tra Russia, occidente e Cina. Ma anche i problemi interni non sono meno difficili da gestire. La popolazione uzbeka è divisa in clan. I principali sono quelli di Samarcanda (Samarkandskiy), di Tashkent (Tashkentskiy) e della Valle del Fergana (Ferganskiy). Una delle ragioni del successo di Karimov è proprio la sua capacità di garantire pace e stabilità al paese: grazie alla sua mediazione, i conflitti tra questi gruppi, sia quelli geografici che d’interessi, si sono attenuati. Ciò è stato possibile grazie alla decisione di Karimov di dividere gli ambiti operativi dei tre clan all’interno del panorama politico-economico nazionale: al clan di Tashkent è stato riservato il settore economico-finanziario (le principali cariche sono ricoperte da esponenti appartenenti a questo clan); al clan di Samarcanda è stata riservata la sfera politica (lo stesso Karimov fa parte di questo clan); al clan di Fergana, invece, è stato riservato il potere religioso.
È questa abilità nel garantire e conservare gli equilibri nel proprio Paese che ha permesso a Karimov tanta longevità politica. Secondo i sostenitori del presidente, giustificherebbe anche i metodi decisi (ma non più di molti altri Paesi occidentali) adottati: in un rapporto nello scorso anno Human Rights Watch ha accusato il governo di aver rinchiuso numerosi attivisti, giornalisti, artisti e chierici con la sola accusa di essere contrari alla politica del partito e si sarebbero verificati anche casi di torture e maltrattamenti.
Fino ad ora, Karimov è stato l’unico in grado di garantire un buon livello di stabilità politica in Uzbekistan. E ciò nonostante l’età avanzata e, secondo alcune fonti, le precarie condizioni di salute. Oggi uno dei principali temi di discussione nel paese è proprio il post-Karimov.
Anche per questo recentemente è stata proposta una modifica della Costituzione: per consentire il passaggio di alcuni dei poteri, attualmente del presidente, al governo. Taluni, tuttavia, smentiscono categoricamente questa ipotesi: secondo Aleksey Malashenko del Carnegie Moscow Center, è improbabile che Karimov abbandoni la scena politica e le recenti modifiche costituzionali sarebbero semplicemente uno strumento per favorire il suo controllo in vista di un futuro, ma non prossimo, passaggio delle consegne.
Una interpretazione che troverebbe giustificazione nei recenti problemi familiari di Karimov: se fino a non molto tempo fa erano in molti a pensare che l’unica persona che potesse sostituire il presidente era la figlia maggiore, Gulnara Karimova, recentemente la situazione potrebbe essere cambiata: la causa sarebbe l’ accusa di riciclaggio di denaro sporco all’estero e, nel 2014, l’accusa da parte dei pubblici ministeri uzbeki nei confronti della figlia di Karimov di collaborare con alcune associazioni criminali, colpevoli di aver sottratto circa 65 milioni di dollari con attività illecite. Gulnara Karimova, recentemente, ha anche accusato la sorella di stregoneria e ha sostenuto che la madre sta cercando di “distruggere” la sua reputazione. Karimova ha anche accusato il capo del servizio di sicurezza dell’Uzbekistan, Rustam Inoyatov, di tentare un golpe.
Nell’ultimo quarto di secolo, il sistema politico uzbeko si è retto proprio grazie al delicato equilibrio gestito da Karimov. Un equilibrio che, se Karimov dovesse lascare il posto di presidente, potrebbe far precipitare l’Uzbekistan in un caos da cui sarebbe difficile uscire (specie considerando le forti pressioni a cui il Paese è soggetto in questo momento da parte della Russia, della Cina e degli USA).