“I giovani sono il futuro della Libia”. Intervista ad Ahmed al-Issawi, presidente del Libyan Youth Welfare Network

di Vanessa Tomassini – 

Io consiglio a tutti i giornalisti che si occupano di Libia di basarsi sempre sui fatti e sui dati ufficiali di tutte le istituzioni operative nel paese. Perché parlare di Libia oggi non è affatto facile”. Sono state queste le parole di Ahmed Al Issawi, giornalista libico originario di Tripoli ma residente a Zintan, la città che è passata agli onori della cronaca per il suo carcere, dove è stato detenuto il figlio prediletto del rais, Saif-al Islam Gheddafi. Ahmed ci ha contattato dopo la pubblicazione della nostra intervista al leader del partito Giustizia e Costruzione, Mohamed Sowan, che ha fatto molto discutere per via di una domanda proprio su Saif, che in realtà non era stata mai posta. Ahmed al-Issawi è molto attivo socialmente e nell’informazione, basti pensare che a soli 25 anni è presidente della principale organizzazione che si occupa del benessere dei giovani libici, il Libyan Youth Welfare Network. Abbiamo parlato con lui di cosa significa crescere in Libia, ma soprattutto cosa vuol dire essere giornalista in un clima di così forte tensione sociale, dove gli stessi partiti, oltre alle milizie, passano quotidianamente da uno schieramento all’altro.

– Cos’è il Libyan Youth Welfare Network?
Il Libyan Youth Welfare Network è una delle organizzazioni della società civile libica che, con il permesso del ministero della Cultura, dal 2013 svolge il lavoro di centro di supporto per quest’ultimo. La nostra organizzazione ritiene che i giovani siano l’elemento più importante per l’avanzamento dello stato libico in quanto possiedono la forza e la vitalità per il progresso. La società civile è la forza della rinascita di ogni paese, i suoi pilastri, la sua spada e il suo scudo protettivo. Per la maggior parte delle tribù libiche è necessario responsabilizzare i giovani con consapevolezza politica, culturale ed economica in modo che i politici possano creare la strada del loro futuro.

– Quali sono le leggi che regolano il lavoro dei giornalisti in Libia?
Ho ricoperto diverse posizioni nel mondo del giornalismo in Libia, fino ad occupare il ruolo di consulente della stampa e dei media ed ho lavorato su diversi progetti, il più importante dei quali è il consolidamento dei media e dei programmi culturali contro il terrorismo e l’immigrazione illegale, i quali richiedono la partecipazione della Libia.
Avevamo creato, insieme al ministero della Cultura del Governo di Unità Nazionale di Tripoli, un comitato per la tutela del giornalismo e dei media, che è stato poi abolito per una scelta sbagliata dello stesso ministro della Cultura. Purtroppo i giornalisti e i media in Libia soffrono ancora molto in quanto non esiste una vera e propria legge in materia. L’unico atto legislativo è la numero 76 dell’anno 1972, successivamente c’è stata solamente la Dichiarazione costituzionale, che non è mai entrata in vigore, nonostante il fatto che l’articolo 14 di quest’ultima dica che lo stato garantisce la libertà di opinione e di espressione individuale e collettiva, la libertà di ricerca scientifica, la libertà di comunicazione, di stampa, dei media e della pubblicazione, la libertà di movimento, di riunione, le dimostrazioni e le sedute pacifiche, in modi che non siano in contrasto con la legge.
Purtroppo la legge del sindacato è stata abrogata dal Consiglio di transizione libico e i giornalisti si sono ritrovati senza un organo di rappresentanza, come se ci fosse un complotto da parte dei politici per contrastare il lavoro dei media statali e promuovere i media privati. In particolare sembra che ci sia un accordo atto a promuovere alcuni programmi politici, e certi paesi arabi sostengono questa trama, come lo stato del Qatar, che ha fornito supporto economico e lasciando agonizzare i media di stato libici.

– Quali sono le condizioni per i giornalisti che lavorano in Libia?
Ci sono casi di rapimento e di sparizione di alcuni giornalisti, è una lotta per la sopravvivenza. Non esiste una libertà di opinione sancita dalla dichiarazione costituzionale, in nessuna regione della Libia. Qualsiasi forza, se si sa che sei un oppositore, cercherà d isolarti, così va a finire che nessuno sentirà la tua voce.
E’ necessario quindi imparare a fare la campagna per la tua libertà sui social network, ma non è sufficiente, perché questi gruppi hanno capito che la comunicazione social spesso non offre altro che personaggi senza nulla da dire: il lavoro della stampa viene ostacolato, ci sono repressioni, norme e legislazioni nazionali.
La legge numero 76 del 1972, di cui le parlavo prima, non ha ancora effetto sulla libertà internazionale dei giornalisti, anche se ha sottolineato nel suo primo articolo la libertà di stampa e il diritto di ogni persona di esprimere la sua opinione.
La legge è inoltre soggetta ad interpretazione, in quanto l’articolo 21 della dichiarazione costituzionale, che vieta l’imposizione del controllo delle pubblicazioni, inclusa la censura dei giornali prima della loro pubblicazione, viene contraddetta dalla Pubblicazione della Direzione Generale del Ministero della Cultura, che impone restrizioni a ciò che viene pubblicato.
Tutto è sottoposto a controllo, comprese le opere di autori e scrittori, che non sono autorizzati a stampare senza ottenere l’approvazione preventiva. Queste politiche repressive sono anche in conflitto con il fatto che, all’art. 4, primo comma della legge 76/1972, si autorizza il settore privato a possedere istituti di stampa e pubblicazione, vietando effettivamente di limitare l’espressione a coloro che ne sono legalmente autorizzati.

– Quali sono le questioni controverse che hanno reso difficile il processo di dialogo libico?
Le questioni più controverse del processo di dialogo, in corso in Tunisia tra la delegazione della Camera dei Rappresentanti e del Consiglio di Stato, riguardano soprattutto l’ottavo articolo dell’accordo di riconciliazione nazionale, firmato a Skhirat, in Marocco. Questo conferisce i poteri di comandante supremo dell’esercito al Consiglio di Presidenza di Tripoli, il secondo punto è che il Consiglio di Stato, che si trova sotto il controllo dell’Islam politico, vuole escludere il 94mo blocco, ossia il partito che si erge contro qualsiasi decisione che vada contro lo stato libico. Si tratta di un blocco indipendente che crede nel processo politico, economico e di sicurezza. Cosi il blocco è arrivato a formulare accuse surreali verso l’Islam politico, fino a violare le autorità politiche libiche. Il comitato che rappresenta il consiglio di stato non ha richieste chiare nelle riunioni e desidera solamente rafforzare la presidenza del consiglio.

– L’Inviato Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite in Libia, Ghassan Salemè, che guida questo processo di dialogo, ha più volte ribadito l’importanza di arrivare alle elezioni entro il 2018. Lo ritiene possibile?
Il ruolo dell’Inviato Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite in Libia è molto importante per risolvere il problema politico e di sicurezza, evitando soprattutto quell’interferenza di alcuni paesi occidentali, che fino ad oggi hanno fatto più confusione piuttosto che risolvere le varie questioni. Se Ghassan Salamè rimane un intermediario tra questi paesi, le Nazioni Unite e le parti in conflitto troveranno una via d’uscita più rapidamente. La politica alla luce delle elezioni presidenziali, parlamentari e comunali deve contenere e attirare tutti i partiti locali, internazionali, influenti o marginali. Tutti devono sedersi intorno ad un tavolo, affinché ci voglia meno tempo per risolvere la crisi, altrimenti una legge imposta dall’esterno dalla comunità internazionale non verrebbe riconosciuta dal popolo libico, che già vede negativamente l’intervento straniero.

– La recente dichiarazione alla stampa di Ghassan Salamè che ha aperto al processo politico a Saif al-Islam Gheddafi ha avuto molto risalto sulla stampa internazionale. Qual è la sua opinione su di lui?
Innanzitutto bisogna dire che se il signor Saif al-Islam Muhammar Gheddafi è stato liberato dal carcere, visto che era in prigione nella città di Zintan, ed ha tutto il diritto di partecipare al processo politico ed economico, soprattutto dopo che è stata emessa l’amnistia dal tribunale libico. Infine, è un cittadino della Libia e credo che sia un diritto di ogni libico interessarsi alle questioni politiche ed economiche della propria nazione. La sicurezza ed il controllo delle votazioni in Libia sarà fondamentale per le istituzioni statali, affinché esse si svolgano correttamente.