Kurdistan Irq. A 29 anni dalla strage con i gas di Halabja

di Shorsh Surme – 

Anche quest’anno ricordiamo la triste e dolorosa storia della cittadina di Halabja.
Oggi 16 Marzo è 29mo anniversario dell’attacco con le armi chimiche alla cittadina curda di Halabja, nel Kurdistan dell’Iraq. Vogliamo ricordare quelle 5mila vittime inermi, in maggioranza donne, bambini e anziani, sterminati con prodotti chimici come insetti. Come in un incubo. Lontano dagli occhi del mondo.
Il 16 marzo 1988 era un pomeriggio, quando la popolazione curda si stava preparando per la festa di Nawroz, nel periodo che va dal 18 al 21 marzo; la cittadina era quasi interamente coperta dal verde, quando i cacciabombardieri iracheni invasero il cielo di Halabja, città di 70mila abitanti della provincia di Suleymania, nel Kurdistan iracheno, a pochi chilometri dalla frontiera iraniana.
Il giorno precedente la città era caduta nelle mani dei partigiani dell’Unione patriottica del Kurdistan (Upk) di Jalal Talabani. Abituata alle alterne offensive e controffensive nel conflitto Iraq-Iran, che devastavano la regione dal settembre del 1980, la popolazione credette sulle prime che si trattasse di una classica operazione di rappresaglia. Chi fece in tempo si mise al riparo in rifugi di fortuna. Gli altri furono sorpresi da bombe chimiche che, a ondate successive, Mirage e Mig iracheni rovesceranno loro addosso.
Un odore nauseante di mele imputridite riempì Halabja. Al calar della notte le incursioni aeree cessarono e cominciò a piovere. Poiché le truppe irachene avevano distrutto la centrale elettrica, gli abitanti partirono alla ricerca dei loro morti nel fango, alla luce delle torce. L’indomani si trovarono di fronte a uno spettacolo spaventoso: strade lastricate di cadaveri, persone sorprese dalla morte chimica nei loro gesti quotidiani, bambini tenuti per mano dal padre, neonati ancora attaccati al seno materno, anziani che cercavano di passare una giornata serena e i malati che speravano di guarire. In poche ore si ebbero 5mila morti di cui 3.200 verranno tumulati in una fossa comune perché nessuno potette reclamarli: i familiari erano tutti morti.
Le immagini di questo massacro fecero il giro del mondo grazie a corrispondenti di guerra iraniani e la stampa internazionale che si recò sul posto diede un certo spazio a questo avvenimento senza precedenti. Il fatto è che l’uso di armi chimiche è formalmente proibito dalla convenzione di Ginevra. Dal 1925 soltanto l’Italia di Mussolini ha infranto questo divieto nella guerra d’Abissinia. Ma stavolta è contro il suo stesso popolo che uno stato ha usato i gas chimici. Allora l’occidente, che considerava Saddam un’alleato ma soprattutto il paladino della libertà contro l’espansionismo khomaynista nel Golfo Persico, si limitò a una timida protesta senza una condanna esplicita contro il regime dittatoriale iracheno.
La città di Halabja vive ancora con i terribili ricordi di quella tragedia, non vi è un cittadino di Halbja che non abbia perso almeno un parente o un amico. Nel territorio della città non cresce più un filo di erba, le donne che erano state colpite con il gas non riescono avere più i figli e se possono averne nascono deformati. Ora la speranza di migliaia dei parenti delle vittime di quella tragedia in particolare e del popolo curdo in generale è che dopo la condanna e l’esecuzione di Ali Hassan al-Majid, detto “Ali il chimico”, anche gli altri responsabili, che per fortuna sono già dietro le sbarre, possano essere processati e giudicati per i crimini che hanno commesso contro la popolazione civile.
E non dimentichiamo anche i mercanti di morte occidentali che hanno collaborato col regime per realizzare questa arma micidiale. Infatti, nel 2008 è stato condannato Frans van Anraat, un olandese, che la magistratura di Amsterdam ha definito come “uno dei più importanti intermediari del traffico d’armi e materiale bellico del Medio Oriente”. van Anraat si era trasferito in Iraq dopo la prima guerra del Golfo dove, sempre secondo i magistrati olandesi, avrebbe svolto il ruolo di consulente per lo sviluppo delle armi chimiche del regime di Saddam. E’ stato riconosciuto colpevole di complicità in crimini di guerra ed è stato condannato dal tribunale dell’Aja a 15 anni di prigione. Anche molte aziende tedesche sono state riconosciute corresponsabili per la terribile morte di donne uomini e bambini. L’Europa ha quindi l’obbligo morale di proteggere le vittime sopravvissute di quella tragedia.