Rwanda. La mutazione democratica

di Valentino De Bernardis

Kagame paul grandeLa democrazia ha sempre ragione, il popolo deve decidere il proprio futuro. Questo è il mantra in voga negli ultimi mesi in Ruanda, cioè da quando lo scorso mese di luglio oltre 3,7 milioni di persone (il 59% degli aventi diritto al voto) hanno raccolto le firme per modificare la costituzione e permettere al presidente in carica, Paul Kagame, di poter ricandidarsi alla successione di sé stesso al termine del suo secondo mandato consecutivo (2017).
Nella cronologia dei fatti, dopo la presentazione delle firme al Parlamento, e la seguente approvazione da parte della Camera bassa del paese lo scorso 29 ottobre a stragrande maggioranza (75 voti su 80), il 18 dicembre si è provveduto all’ultimo passaggio per rendere operative le modifiche alla costituzione, cioè il referendum confermativo.
Secondo i risultati preliminari della Commissione Nazionale Elettorale (NEC), dopo aver scrutinato 21 distretti su 30, oltre il 98% dei votanti ha votato in senso affermativo alle riforme costituzionali, prolungando potenzialmente l’orizzonte temporale della presidenza Kagame fino al 2034. A sorprendere non è certamente l’esito del referendum, mai messo in dubbio sia per quanto riguarda l’esito che la portata della vittoria del fronte del Yego (SI), quanto come stia diventando una consuetudine da parte dei leaders del continente africano l’uso strumentale delle istituzioni democratiche per perpetuare la propria permanenza al potere.
A tal proposito la modifica della Carta fondamentale dello Stato per un mero tornaconto personale e di determinati gruppi (su base etnica ed economica) dimostra come la democrazia in Africa, nel senso di una delle tre forme di governo elaborate da Aristotele in Politica, sia diventata la peggiore nemica di se stessa.
Al di fuori della mera constatazione politica sull’operato della presidenza Kagame, sul quale si può essere più o meno d’accordo, a preoccupare è il risvolto politico-costituzionale dell’esito referendario, che sembra aver dato il via libera ad una mutazione del paese, da una democrazia presidenziale ad una figura ibrida tra monarchia e democrazia, a cui mirano buona parte degli attuali presidenti dell’Africa Sub Sahariana. C’è da chiedersi in un tale sistema quali saranno gli spazi politici offerti alle opposizioni, già di per sé spesso molto ridotti, come denunciato da Frank Habineza, presidente del soggetto politico di opposizione Partito Democratico Verde. Il tutto a discapito del paese, privando potenzialmente i cittadini di quella alternanza al comando delle istituzioni che fa di ogni democrazia, una democrazia matura.
In ultimo, se da una parte è facile prevedere che Kagame farà cadere nel vuoto gli inviti dell’amministrazione statunitense a passare la mano, e a non ricandidarsi al completamente del suo secondo mandato consecutivo anche se non più costituzionalmente obbligato, quello che è difficile prevedere è quanti altri stati seguiranno l’esempio ruandese, anche essi ripetendo come un mantra che il popolo deve essere libero di decidere del proprio futuro.

@debernardisv
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