Ambiente: quel rapporto Charney dimenticato nel cassetto 40 anni fa

di C. Alessandro Maceri

Ormai nessuno mette più in dubbio i cambiamenti climatici in atto, sarebbe negare l’evidenza. Da anni la partita tra ambientalisti e leader mondiali sotto la pressione delle multinazionali riguarda le cause che hanno prodotto e che stanno accelerando questi cambiamenti. In altre parole, il surriscaldamento globale è o non è un fenomeno che ha origini antropiche, cioè che è causato dall’uomo?
Le prove scientifiche del rapporto causa/effetto del riscaldamento globale con la bramosia di produrre e vendere sempre di più non sono una novità: la prova di questo rapporto risale addirittura a 40 anni fa. A dimostrare che le temperature medie del pianeta sarebbero aumentate e perché (e in modo molto più preciso di quanto affermato anche durante eventi storici come gli incontri di Kyoto o la COP21 di Parigi) fu un gruppo di scienziati dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti guidato dal  meteorologo Jule Gregory . Esattamente 40 anni fa, alla fine di luglio 1979, questi ricercatori pubblicarono uno studio in cui veniva evidenziato il rapporto tra emissioni di biossido di carbonio e cambiamenti climatici.
I risultati cui erano giunti erano così sconvolgenti che i ricercatori si affrettarono a comunicarli alla Casa Bianca, prima ancora che ai media.
Tuttavia nessuno, nè alla Casa Bianca nè in altre sedi governative, prese mai in seria considerazione lo studio ricevuto: venne semplicemente messo in un cassetto. E dimenticato. E’ vero che si trattava di un periodo “caldo”: la Russia aveva invaso l’Afganistan; in Italia, solo pochi anni prima, il referendum sull’aborto aveva segnato un momento storico e, solo un anno prima, nel 1978, era stato rapito Aldo Moro; poco dopo, nel 1980, avvenne il disastro di Ustica che scatenò polemiche internazionali non da poco con Francia, USA e Libia; in Spagna era appena stata varata la Costituzione. Tutta la politica internazionale era concentrata su una serie di eventi che avevano accecato i capi di stato e non avevano permesso forse di rendersi conto che erano in atto cambiamenti che avrebbero cambiato il pianeta da lì a pochi decenni. Anche negli USA il governo preferì guardare da un’altra parte: del resto erano appena stati ristabiliti rapporti diplomatici con la Cina, era stato lanciato il primo rivoluzionario Shuttle e  Jimmy Carter e  Leonid Brezhnev avevano firmato gli accordi SALT II.
Così nessuno si prese la briga di approfondire le conseguenze delle tesi di un gruppo di ricercatori americani.
Qualche anno dopo, nel 2005, l’esattezza di quelle previsioni venne confermata: vennero esaminati i tre più grandi set di dati satellitari usati dagli scienziati del clima negli ultimi 40 anni e due di essi raggiunsero il ”gold standard” di certezza (il terzo lo fece nel 2016). La tesi che erano le attività umane a causare l’aumento delle temperature sulla Terra aveva raggiunto un livello “cinque sigma”, un indicatore statistico secondo cui c’è solo una possibilità su un milione che non sia così. Per comprendere il livello di certezza raggiunto basti pensare che il “gold standard” è stato applicato, nel 2012, per confermare la scoperta della particella subatomica del bosone di Higgs!.
Le previsioni riportate in quello studio degli anni Settanta erano così precise che trent’anni dopo, nel 2009, Raymond Pierrehumbert, docente di geoscienze dell’università di Chicago dovette riconoscere che “nulla di tutte le conoscenze raggiunte negli ultimi decenni ha potuto contraddire le conclusioni del rapporto Charney”.
Tutto questo però significa che già nel 1979 gli scienziati avevano dimostrato che non ci sono dubbi circa l’impatto dell’umanità sui cambiamenti climatici in atto sul pianeta. Ma vuol dire anche un’altra cosa, ben più grave: che i leader mondiali, sapendolo, hanno deciso di non fare nulla. Per quaranta lunghi anni.
Le ricerche di Charney finirono nel dimenticatoio. Ma il rapporto aveva un peso troppo grande per rimanere nascosto: esso spiegava che “alcuni cambiamenti nella composizione dell’atmosfera possono modificare la sua capacità di assorbire l’energia del Sole”. Se i leader mondiali avessero dedicato a quella ricerca l’attenzione che meritava e se avessero agito subito, oggi il mondo non si troverebbe a gestire una emergenza di dimensioni epocali.
Perché non hanno fatto nulla? Eppure il documento nelle mani dei leader mondiali era chiaro: “Abbiamo la prova irrefutabile che l’atmosfera stia cambiando e che l’uomo stia contribuendo a tale processo. Le concentrazioni di biossido di carbonio sono in continuo aumento, il che è legato alla combustione di risorse fossili e allo sfruttamento del suolo. Dal momento che la CO2 riveste un ruolo significativo nell’equilibrio termico dell’atmosfera, è ragionevole ritenere che il suo aumento provocherà conseguenze sul clima”. Quali conseguenze? Anche sotto questo profilo i ricercatori nel 1979 avevano fornito dati estremamente precisi: Carl Wunsch, tra gli autori del rapporto Charney, dimostrò la tesi del riscaldamento globale di origine antropica non necessitasse di calcoli e modelli complessi e previde che un raddoppio della concentrazione di CO2 nell’atmosfera avrebbe comportato una crescita della temperatura media globale compresa tra 1,5 e 4,5 gradi centigradi, in ragione dei differenti scenari presi in considerazione. Esattamente quello che si è verificato negli ultimi anni!
Tornano alla mente i leader mondiali riuniti a Parigi, al termine dei lavori della COP21. Tutti sorridenti, tra una cena e una foto di gruppo, mentre presentavano il “nuovo” piano per contenere l’aumento delle temperature globali e salvare il mondo… un piano da realizzare chissà quando, specie dopo la decisione di Trump di tirarsi indietro.
Invece, tutti loro conoscevano già molto bene le cause e la misura dell’innalzamento delle temperature globali. E non da poco tempo, da decenni. “Le principali scoperte del rapporto sono invecchiate molto bene”, ha dichiarato Mark Zelinka, scienziato del clima di LLNL, anche lui coautore del documento. “Il racconto secondo cui gli scienziati non conoscono la causa dei cambiamenti climatici è sbagliata”, ha detto alla Reuters, Benjamin Santer, autore principale dello studio, “Noi la conosciamo”.
Ma, come ha sottolineato Pierrehumbert, “I decisori politici non hanno tenuto conto di tali previsioni e non hanno agito preventivamente”. Anzi, ancora oggi fingono di non conoscere con certezza il rapporto di causa ed effetto tra aumento delle emissioni di CO2, aumento delle temperature globali e cambiamenti climatici!
Il punto è che, dopo aver letto il rapporto, e soprattutto dopo aver visto che le previsioni degli scienziati si sono già trasformate in realtà, le loro scelte non possono più essere celate dietro una sorta di scarsa conoscenza. O di ignoranza. Appare indubbio che chi ha governato negli ultimi decenni non ha considerato primario il bene comune nè la salvaguardia del pianeta: ha governato avendo a cuore solo i vantaggi economici di pochi. Ora, a quarant’anni dalla pubblicazione del Rapporto Charney, non può più negarlo.