Mladic condannato all’ergastolo. Ma la Bosnia Erzegovina è tutt’altro che stabile

di Gabriele Di Leo

Lo scorso 8 giugno il Tribunale dell’Aja ha confermato in appello la condanna all’ergastolo per Ratko Mladić. Mladić, all’epoca della guerra dell’ex Yugoslavia generale delle forze armate dell’esercito della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina; fu il protagonista del massacro di Srebrenica del 1995, compiuto assieme al corpo paramilitare degli “Scorpioni”. L’accaduto, che vide anche il triste coinvolgimento dei caschi blu olandesi, fu il più eclatante in Europa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. A Srebrenica, tra il 6 e il 25 luglio 1995, circa 8mila uomini persero la vita e migliaia di donne furono sottoposte a violenze e sevizie, solo perché “colpevoli” di essere musulmane. Quanto avvenne in quei giorni diede una spinta alle trattative relative agli accordi di Dayton, ratificati pochi mesi dopo, che consegnarono l’attuale disegno della mappa geografica bosniaca. Da allora le due entità statali bosniache, la Federazione di Bosnia ed Erzegovina e la “Republika Srpska”, hanno modellato il paese e la società nel pieno rispetto delle proprie autonomie.
Eppure è proprio in Bosnia ed Erzegovina che si stanno delineando gli scenari geopolitici meno stabili di tutto il continente europeo. Le tensioni mai sopite tra croati, bosgnacchi e serbi hanno condotto il clima politico del paese da una convinta fase di adesione verso i principi dell’Unione Europea ad una più nazionalista e identitaria. È emblematica la figura di Milorad Dodik, già presidente della Republika Srpska e già primo ministro di Bosnia ed Erzegovina. Dodik, alleato internazionale di Vladimir Putin, è un forte sostenitore in chiave antieuropea dell’indizione di un referendum per l’indipendenza della Republika Srpska.
Una pesante ipoteca sulla futura convivenza pacifica della popolazione bosniaca è stata posta dal piano scolastico “due scuole sotto un tetto”; la soluzione, ideata nell’immediato dopoguerra e inizialmente temporanea, prevede la suddivisione degli alunni nelle classi in base alla loro appartenenza etnica, affinché seguano programmi scolastici differenti. In questo clima è molto difficile sviluppare un sentimento popolare e patriottico in grado di unire un popolo così tanto diviso. Un dato simbolico è dato dalla drastica diminuzione, in rapporto al periodo antecedente la guerra, dei matrimoni misti tra le diverse etnie presenti.
Uno scenario sociale così disastroso, che tra l’altro vede alle porte anche il nazionalismo croato di Bosnia ed Erzegovina, riporta alla nostra mente le scene degli anni ’90. Scene di guerra, atrocità indicibili e violenza a pochi chilometri dalle nostre case, sicure ed inviolabili. Oggi è lecito domandarsi: cosa può fare la comunità internazionale per evitare la deflagrazione di quella che sembra essere a tutti gli effetti una bomba ad orologeria?