Usa. La campagna elettorale è già iniziata

di Alessio Cuel

Le 60me elezioni presidenziali statunitensi si terranno il 5 novembre 2024. Sebbene manchino oltre 400 giorni al voto, la campagna elettorale può tuttavia già dirsi iniziata. Nel campo democratico, salvo clamorose sorprese, il candidato sarà il presidente uscente Joe Biden. Più vivace è invece la corsa interna al campo repubblicano, dove il favorito è l’ex inquilino della Casa Bianca Donald Trump.
Partiamo dalle basi. Le primarie repubblicane inizieranno ufficialmente tra gennaio e febbraio 2024, ma già il 23 agosto di quest’anno è previsto il primo dibattito. Le campagne presidenziali americane sono tradizionalmente molto lunghe, in modo tale da permettere ai candidati di girare in lungo e in largo il Paese, tenere i comizi e, nel caso dei candidati meno noti, farsi conoscere.
Già nel novembre 2022, subito dopo le elezioni di midterm, Trump ha esplicitato la propria intenzione di candidarsi alla Casa Bianca. Potremmo addirittura parlare di Trump come di un “candidato perenne”, in corsa fin dalla sconfitta alle presidenziali del 2020 e dai fatti di Capitol Hill che ne sono succeduti.
Il principale ostacolo per Trump alla nomination repubblicana appare, ad oggi, il governatore della Florida Ron De Santis sia pur quest’ultimo emerga, in base a un sondaggio di Fox dello scorso 28 giugno, indietro di oltre trenta punti rispetto all’ex Presidente (56% vs 22%). È incerto se De Santis riuscirà a recuperare terreno e se e come dovrà valutare un cambiamento di strategia.
De Santis è apparentemente un candidato di grande successo: proviene dalla working class, è cresciuto studiando tra Yale e Harvard, ha giocato a baseball e militato nell’esercito. I suoi detrattori, d’altro canto, parlano di lui come di un personaggio poco empatico, poco abile nelle relazioni interpersonali e scarsamente interessato al rapporto con gli altri. Al contrario di Trump, De Santis appare poco coinvolgente e poco carismatico.
Nel corso del suo primo mandato, Trump parlava della NATO come di un modello superato e addirittura di un possibile ritiro americano dall’organizzazione. Oggi l’ex Presidente si dice in grado, in virtù dei propri buoni rapporti con Zelens’kyj e Putin, di poter mettere d’accordo Ucraina e Russia in “ventiquattro ore”. Per De Santis quello ucraino non è un capitolo di interesse statunitense: il governatore della Florida sottolinea infatti come gli interessi americani debbano piuttosto concentrarsi in Asia.
L’esito delle primarie renderà più chiaro se, nel campo repubblicano, prevarrà l’ipotesi del disimpegno dall’Ucraina, in discontinuità con la linea Biden, o se al contrario prevarrà la vecchia ortodossia repubblicana, favorevole al supporto militare.
Cosa potrebbe succedere, poi, nel caso di un’invasione cinese di Taiwan? Un futuro presidente repubblicano difenderebbe Taiwan, così come ha annunciato di voler fare Biden, oppure perseguirebbe una politica di disimpegno? Dall’esito delle primarie repubblicane e delle elezioni presidenziali dell’anno prossimo dipenderà lo sviluppo di alcuni dei maggiori dossier di politica internazionale.