Usa. Trump gioca con il nucleare. Ma in casa ha il problema Hanford

C. Alessandro Mauceri

La politica del governo americano sul nucleare continua a riempire le prime pagine dei giornali. La verità per è che proprio negli USA il rischio nucleare è più elevato di quanto si pensi. Nel 2016, durante la campagna elettorale, il tycoon di Washington riaprì il discorso (per decenni chiuso, almeno sulla carta) della produzione di armi nucleari, dicendo di voler dare il via alla realizzazione di nuovi ordigni “a basso potenziale” da usare, più che verso la Corea del Nord, come deterrente verso Russia e Cina.
Poi, qualche settimana fa, l’amministrazione americana ha annunciato la volontà (per ora potenziale) di trasferire tecnologia nucleare “sensibile” all’Arabia Saudita. Col rischio che anche Riyadh possa arrivare a produrre la bomba atomica. A lanciare l’allarme è stato il rapporto di un gruppo di parlamentari democratici della Camera, secondo cui la Casa Bianca sta esercitando attività di lobbing per favorire la chiusura del contratto di fornitura fra i vertici della monarchia wahabita e aziende statunitensi vicine al Presidente. Una decisione che comporterebbe seri rischi di “destabilizzare” l’area e innescare una nuova corsa nucleare di Teheran che, nel 2015, con l’allora presidente Obama, aveva accantonato le mire nucleari in cambio di un alleggerimento delle sanzioni. Accordo cancellato da Trump nel maggio scorso.
Un rapporto pubblicato dall’Organismo di vigilanza della Camera sottolinea che una inchiesta sulla vicenda “è particolarmente critica” per i “continui sforzi” dell’amministrazione Usa di “trasferire tecnologia statunitense sensibile in materiale di nucleare”.
Il vero problema “nucleare” per gli USA, però, potrebbe non essere oltre i confini ma ad Hanford, nello stato di Washington. Hanford è il posto al quale le autorità hanno dedicato addirittura un sito (https://www.hanford.gov/) che contiene due terzi di tutti i rifiuti nucleari più pericolosi degli Stati Uniti. E oggi pare essere in condizioni estremamente precarie. Inutile dire che le conseguenze potrebbero essere terrificanti. Del resto i campanelli d’allarme non sono stati pochi. Ad esempio, nel 2013, quando vennero segnalate perdite di rifiuti nucleari in ben sei serbatoi dei 177 del sito interrati e pieni di fanghi radioattivi, di cui 149 singoli. La notizia, disse il governatore Inslee dopo un incontro con il segretario all’Energia Usa Steven Chu, “solleva seri interrogativi circa l’integrità di tutti i serbatoi singoli”.
Che possano verificarsi problemi non sorprende: la prima vasca è stata costruita nel 1940 e può contenere circa 447mila litri di fanghi radioattivi.. Si disse che non ci sarebbe stato alcun problema della salute ma si dovette ammettere “ci sarebbe voluto un po’ di tempo prima che queste perdite possano violare le acque sotterranee o il fiume Columbia”. Un problema che il governatore ribadì doveva essere urgentemente affrontato.
Nel 2017 si verificò un altro incidente, il crollo di un tunnel. La centrale di stoccaggio venne evacuata perché “i tunnel contengono materiali contaminati”. Solo un caso fece sì che non ci fossero morti: al momento del crollo, nel tunnel non c’erano operai, tuttavia, a chi si trovava non lontano dal luogo, venne ordinato di non mangiare e non bere.
Mentre alla Casa Bianca si continua a parlare di proliferazione nucleare, nessuno pensa a far qualcosa per Hanford dove i serbatoi sono stati installati troppi decenni fa e hanno ampiamente superato la “vita utile” stimata da molti in 20 anni di vita. La costruzione dell’impianto di Hanford risale addirittura alla seconda guerra mondiale, nell’ambito del Progetto Manhattan per la costruzione della bomba atomica. È qui che è stato prodotto il plutonio per la bomba sganciata su Nagasaki. È qui che per decenni è stato stoccato buona parte del materiale destinato l’arsenale nucleare americano.
Oggi il vero rischio nucleare per gli americani non viene dalla Corea del Nord nè dall’Iran o dalla Cina o dalla Russia: è Hanford. “Nessuno di questi serbatoi sarebbe accettabile oggi. Nessuno di loro dovrebbe essere in servizio”, ha detto Tom Carpenter di Hanford Challenge, un gruppo di controllo del sito. “Eppure, contengono due terzi delle scorie nucleari ad alto livello della nazione”. Dei tre progetti che prevedevano la rimozione di tutto il plutonio per uso militare dal sito e lo svuotamento piscine che perdevano e contenevano il combustibile nucleare esaurito, a soli 400 metri dal fiume, solo due sarebbero stati completati.
Oggi Hanford è una gigantesca mina (nucleare), con costi di bonifica stratosferici e improponibili per le casse dello stato: già nel 1996, uno studio parlava di costi di bonifica per l’area oscillanti da 230 miliardi a più di mille miliardi di dollari. Una cifra improponibile anche per le casse USA. Circa un terzo dei serbatoi hanno cominciato a perdere liquidi altamente inquinanti nel suolo e nell’acqua della falda freatica. Nel 2008, la maggior parte delle scorie liquide sono state trasferite a serbatoi più sicuri a doppio contenitore ma comunque 10.600 m3 di liquidi, assieme a 100.000 m3 di “salt cake” (ossido di uranio mescolato con altri attinidi) e fanghi, rimangono nei serbatoi a singola parete. Nel 2018 era stato programmato di rimuovere le scorie, ma la data per la decontaminazione definitiva pare sia stata spostata addirittura al 2040!
I vicini corpi acquiferi conterrebbero circa 1 miliardo di m3 di acqua contaminata, risultante dalle infiltrazioni radioattive: parte dei reattori nucleari venivano refrigerati direttamente dall’acqua del fiume (in modo ormai obsoleto, senza scambiatori di calore) e quest’acqua veniva scaricata nel fiume dopo una semplice decantazione. Oggi il fiume Columbia, il quarto fiume come portata degli USA è ad elevato rischio radioattività: oggi molte persone a valle dell’impianto lamentano seri disturbi.
Senza bonifica e con poca voglia di completare lo smantellamento (e fermare l’inquinamento della falda acquifera secondo alcuni iniziato già nel 2008), Hanford può diventare una bomba ad orologeria.
Della quale, però, a Trump non sembra interessare, impegnato com’è a costruire nuovi muri con il Messico e a vendere tecnologia nucleare al miglior offerente.