Iran. Curdi: da Khomeini a Rohani, le promesse non mantenute

di di Shorsh Surme –

36 anni fa l’ayatollah Ruhollah Mostafavi Mosavi Khomeyni, all’eta di 68 anni, ritornò in Iran dove un tempo la polizia dello scià lo aveva arrestato e poi costretto all’esilio prima in Turchia poi in Iraq, nella città santa sciita di Nejaf, che viene considerata la Mecca degli sciiti.
Dopo quindici anni, al suo ritorno, veniva accolto in trionfo da milioni di persiani. L’imam Khomeini,dopo essere tornato in patria, si rese conto di quanto precaria fosse la sua posizione di preminenza e la sua stessa reputazione.
Khomeini per riuscire a mantenere il potere e per combattere l’opposizione, non esitò a ricorrere alla forza: i plotoni di esecuzione cominciarono ad eliminare i prigionieri politici, la tortura si fece più brutale, come testimoniano i vari rapporti di Amnesty International. Infatti, nel dicembre 1982, i pasdaran (Guardiani della rivoluzione) iniziarono la loro offensiva contro le minoranze etniche, e tra questi il popolo curdo, nonostante i movimenti di liberazione del Kurdistan lo avessero aiutato e sostenuto nella sua rivolta contro lo scià.
Khomeini, durante il suo esilio a Parigi, aveva promesso ai curdi che avrebbe dato loro l’autonomia come il diritto di vivere in pace e in libertà, ma dopo poco tempo dal suo arrivo dichiarò guerra ai curdi e disse testualmente che “uccidere un curdo non è peccaminoso”. Questo perché secondo Khomeini i curdi erano degli infedeli in quanto tolleranti, e soprattutto non erano fanatici.
Durante la presidenza di Mohammad Khatami, i curdi avevano sperato in una soluzione pacifica al loro problema in Iran, come aveva promesso lo stesso Khatami in occasione delle sue campagne elettorali del 1999 e del 2001, ma anche in questo caso furono promesse non mantenute, per il semplice motivo che i falchi del regime non lo volevano.
I curdi subirono un vero e proprio genocidio, nonostante le promesse d’autonomia fatte da Khomeini .
I 36 anni di potere del clero hanno portato la popolazione iraniana alla disperazione, sia dal punto di vista sociale che economico.
Ora gli ayatollah sono divisi tra quelli cosiddetti “puri e duri”, e i veri moderati come l’ayatollah Mehdi Karroubi, di 79 anni, che è uno dei più importanti e conosciuti leader del fronte riformista in Iran, cioè una parte delle forze politiche di opposizione agli ultraconservatori, molto potenti nel paese.
Nel febbraio 2011 l’ayatollah Karroubi e Mir-Hossein Mousavi, l’altro leader dell’Onda Verde, organizzarono una manifestazione a Teheran contro il governo sulla scia della Rivoluzione dei Gelsomini in Tunisia e della rivolta contro Hosni Mubarak in Egitto. Ma le autorità risposero mettendo entrambi agli arresti domiciliari, misura a cui sono soggetti tutt’ora nonostante le promesse del presidente cosiddetto “moderato”Hassan Rohani, il quale nella sua campagna elettorale aveva garantito che se fosse stato eletto si sarebbe attivato per il rilascio dei prigionieri politici; aveva sottolineato infatti come l’isolamento internazionale della Repubblica Islamica fosse in parte dovuto alla repressione politica, ma anche inquesto caso si è trattato di una promessa vana, dal momento che nell’era di Rohani le esecuzioni sono aumentate in maniera esponenziale. Tra l’altro nelle ultime settimane il regime degli ayatollah sta cercando di fomentare un altro conflitto tra gli sciiti dell’Iraq e i curdi.
Non dimentichiamo che dopo la caduta di Saddam Hussein nel 2003 Teheran ha investito notevoli risorse finanziarie, politiche e militari per garantire la presenza in Iraq di forte stato sciita e partner strategico.