I dazi in Africa

di Antonio Carbonelli * –

Egregio direttore,
ho letto con estremo interesse l’articolo comparso martedì 23 luglio scorso Africa. Il progetto per un mercato libero dai dazi dei proff. Lettieri e Raimondi, autori di cui apprezzo molto le acute osservazioni su codesto quotidiano on-line, in cui viene data la notizia che Domenica 7 luglio, a Niamey in Niger, il vertice straordinario dei capi di Stato dei paesi dell’Unione Africana ha sancito l’inizio della fase attuativa dell’Accordo continentale africano di libero scambio (AfCTFA l’acronimo in inglese) che mira ad abbattere progressivamente tutti i dazi e le altre barriere doganali all’interno dell’intero continente. Esattamente il contrario della politica delle barriere e dei dazi di Trump, per osservare che si tratta di un evento di portata epocale, che potrebbe presto incidere sugli assetti geopolitici e geoeconomici mondiali.
Mi permetto di rilevare tuttavia che non sono attratto con lo stesso entusiasmo da tale notizia.
Già Hume, il primo filosofo che si sia occupato approfonditamente di economia, nel saggio Sulla bilancia commerciale del 1752, rilevava che “Quando una nazione ha superato un’altra nel commercio, è molto difficile per la seconda riguadagnare il terreno perduto; ciò a causa della preminente attività e capacità della prima, dei più grandi capitali che i suoi mercanti possiedono, i quali li mettono in grado di commerciare con profitti tanto più piccoli”.
Ai nostri giorni tra gli economisti si può tracciare una cesura, ancora non sanata né sul piano teorico, né su quello pratico, tra autori che propugnano una liberalizzazione assoluta, ossia un liberismo, nei rapporti economici internazionali, e autori che giustificano dazi e altre misure protezionistiche soltanto come eccezione alla regola del libero commercio internazionale, per ammetterli soltanto quale misura di protezione delle industrie nascenti nei paesi sottosviluppati.
Ma entrambi i gruppi di autori non ammettono le restrizioni al commercio internazionale quale misura di protezione di gruppi di pressione dei fiorenti paesi industrializzati.
Nella situazione descritta sopra invece ci troviamo di fronte al paradosso per cui un paese altamente industrializzato va a proteggere le proprie industrie con dazi sulle importazioni, mentre i paesi tuttora sottosviluppati dell’Africa dovrebbero trovarsi, per così dire, nudi sulla grande arena del commercio internazionale.
Se si vogliono condannare i paesi sottosviluppati dell’Africa a restare sottosviluppati, potrebbe essere una delle ricette migliori.

Un cordiale saluto.
Antonio Carbonelli.

*Avvocato giuslavorista e filosofo a Brescia