Il grande gioco afgano

di Francesco Piacitelli

In questi torridi giorni d’agosto stiamo assistendo al dramma afgano, che si consuma a seguito del disimpegno militare degli Stati Uniti in quel lembo impervio d’Asia. La ritirata americana e la nuova avanzata dei talebani però non nascono in questi giorni, essendo frutto di una precisa scelta politica formalizzata negli accordi di Doha del febbraio 2020 stretti tra gli Stati Uniti ed i rappresentanti degli studenti coranici.
L’America raggiunge così uno degli obbiettivi prefissati, ovvero quello di abbandonare una guerra voluta in base alla mera emotività e contro un nemico assurdo (lo stesso concetto di guerra al terrorismo ha un’intrinseca illogicità). Gli Stati Uniti quindi tentano di porre fine agli impegni esteri inutili e di concentrarsi sul malessere interno. Un malessere figlio della profonda spaccatura che attraversa l’America, la cui plastica e scenografica dimostrazione credo sia riscontrabile nell’assalto a Capitol Hill. Gli apparati americani ed il governo hanno necessità di ricompattare il fronte interno, scaricandone le tensioni all’esterno ed individuando dei “nemici” su cui farlo, ovvero la Russia e la Cina. L’amministrazione a stelle e strisce inoltre vorrebbe che nel pantano afgano affondassero direttamente altre potenze, prime fra tutte Russia e Cina ovviamente, ma credo che questo secondo obbiettivo venga disatteso rispetto allo scenario che si va delineando ed al consenso regionale che il costituendo regime dei talebani sta ottenendo.
La Russia, forte della profonda conoscenza del territorio e delle dinamiche afgane (retaggio dell’intelligence sovietica), aveva già da tempo intessuto relazioni con alcune componenti dei talebani, non perdendo tempo nel riconoscerne legittimità a seguito della conquista territoriale e mantenendo ambasciata e canali aperti. Lungi dall’avere forze sufficienti per intervenire direttamente nella zona (ricordiamo gli enormi sforzi profusi dalla Federazione in Ucraina e, soprattutto, Libia), obbiettivo principale del Cremlino è quello di stabilizzare la zona, affinché si evitino infiltrazioni estremistiche nei territori russi con una forte presenza musulmana (Cecenia), nonché rinsaldare il fronte delle ex Repubbliche sovietiche.
Anche la Cina ha poco interesse nell’intervenire direttamente, considerata la quasi totale assenza da parte cinese di esperienza militare in teatri di questo genere, perseverando nella strada espansionista tracciata con le nuove Vie della seta. Pechino infatti ha tutto l’interesse al ché il costituente Emirato Islamico stabilizzi la zona, così che il canale commerciale che collega lo Xinjiang al porto Gwadar rimanga aperto: guerriglie tribali ed instabilità fanno male agli affari. Il riconoscimento e la sponsorizzazione del nuovo regime dei talebani inoltre permettono alla Repubblica Popolare Cinese di proiettarsi come potenza di riferimento nel continente asiatico, rafforzando l’alleanza con il Pakistan, vincitore della partita afgana, in quanto deus ex machina del movimento talebano, ed incrementando le pressioni sul nemico indiano, grande sconfitto nella ritirata americana dal continente.
Un altro potenziale attore nella partita post americana ritengo sia la Turchia, considerato come Washington abbia richiesto ad Ankara di assumere il ruolo di “controllore e pacificatore”. Alla luce di questo e considerata la presenza turcomanna in quelle zone, Erdogan, nel pieno della rinnovata tensione imperiale neo ottomana turca, potrebbe giocare un ruolo di mediatore. In questo modo il presidente turco potrebbe ottenere la compiacenza americana su altri dossier (es. Nord Africa), estendendo parzialmente l’influenza turca su quei territori.
L’ultima grande sconfitta nel dramma afgano è l’Europa occidentale, Italia inclusa, la quale vede frustrata l’aspirazione alla propagazione di quei diritti illuministici ritenuti universali, ma rientranti unicamente nel nostro retroterra culturale. La necessità morale dell’Europa occidentale ora è quella di preservare le fasce maggiormente esposte al conservatorismo talebano, ovvero donne e bambini, lavorando in ambito internazionale affinché tutela ci sia per queste fasce deboli. Da un punto di vista geopolitico invece l’Afghanistan non ritengo rientri negli imperativi strategici di alcun paese europeo, benché meno dell’Italia. Quest’ultima al contrario credo debba riscoprire il suo ruolo nel mondo, tornando ad occuparsi di dossier esteri fondamentali (es. Libia e Balcani) e proponendosi, in collaborazione con la Francia ed in assenza di una leadership forte tedesca, come capofila di una nuova politica costruttiva europea.