Primo maggio: c’è poco da festeggiare

di C. Alessandro Mauceri – 

In tutto il mondo il primo giorno di maggio è la Festa dei lavoratori, una ricorrenza celebrata per ricordare le lotte per i diritti del lavoro.
Peccato che di motivi per far festa, oggi, ce ne siano davvero pochi. In molti paesi del mondo lo sfruttamento minorile è più che un problema: è la regola. E le condizioni di sicurezza per i lavoratori non sembrano aver fatto i passi avanti che sarebbe normale aspettarsi.
La prova è quello che è successo solo pochi giorni fa in Indonesia dove, durante lo spoglio delle schede per le elezioni del 17 aprile, almeno 296 persone hanno perso la vita a causa dell’enorme mole di lavoro e alle condizioni ambientali (altri 2.151 sono invece finiti in ospedale).
A riconoscere le responsabilità dello stato è la stessa Commissione elettorale che ha annunciato che le famiglie dei morti saranno rimborsate con un anno di salario minimo (secondo il Nikkei Asian Review): 36milioni di rupie, poco più di 2.200 euro, per aver dato letteralmente la vita per un lavoro occasionale e sottopagato (il compenso forfettario era di 35 dollari al mese, molto al di sotto della soglia prevista dalle Nazioni Unite per la definizione di povertà estrema).
Questi lavoratori, sfruttati in condizioni ininumane per pochi centesimi al giorno, sono morti “per” e “a causa” del lavoro. Ma di loro nei discorsi dei leader mondiali o dei capi dei sindacati non c’è traccia.
Non sorprende dato che nessuno ha pensato di dover parlare nemmeno dei lavoratori morti in Italia. Eppure anche nel Bel Paese, legati tutti da una bramosia di produrre di più a costi sempre più bassi, son stati molti quelli che hanno perso la vita sul lavoro. A dirlo è l’Osservatorio statistico dei consulenti del lavoro: nel 2018, i lavoratori che hanno perso la vita sono stati 1.133 (sia per incidenti che per malattie). La memoria corre veloce a ciò che avviene a Taranto, dove si registra il maggior numero di tumori a causa del lavoro in un ambiente insalubre.
Non sorprende che, secondo i dati dell’Osservatorio nazionale amianto (Ona), tra i lavoratori impiegati nello stabilimento ex Ilva, i casi di cancro siano il 500% in più rispetto alla media della popolazione della città. In Puglia sono “circa 5.000 i morti causati o concausati dall’esposizione all’amianto nel periodo 1993/2015”, circa 220 l’anno.


Se il numero dei morti è spaventoso quello degli infortuni non letali lascia a bocca aperta: nel 2018, gli incidenti sul lavoro sono stati circa 641mila, più di 1.700 al giorno.
Eppure, nonostante questo, la situazione è in netto peggioramento rispetto all’anno precedente (sono 5.828 in più le denunce di infortuni e i decessi sono aumentati di oltre il 10%),. Anche i più coraggiosi paladini dei diritti dei lavoratori sembra abbiano preferito guardare altrove. E lo stesso la politica e i sindacati, anche a livello locale ma ancora tutto tace.
La distribuzione del numero di questi incidenti sul territorio nazionale è poi tutt’altro che uniforme: la maggiore l’incidenza degli infortuni sul lavoro con esito mortale, si verifica nelle regioni del sud, “probabilmente”, dicono gli esperti, “per la scarsa attenzione alle norme di sicurezza e per la maggiore concentrazione delle occasioni di lavoro nei settori a rischio (agricoltura e costruzioni)”.
Un silenzio assordante quello per i morti sul lavoro, in Indonesia come in Italia o in altre parti del pianeta: in Europa sembrerebbe che gli ultimi dati disponibili messi a disposizione da Eurostat, inspiegabilmente, sarebbero fermi al 2015 e (altra stranezza) non comprendono quelli raccolti in Italia. Eppure nessuno lo ha fatto notare. Come mai? E come mai nessuno ne ha parlato in occasione della Festa dei Lavoratori? Eppure quando si parla di “Unione Europea” viene spontaneo pensare che i lavori di tutti i paesi che fanno parte di questa “unione” dovrebbero avere gli stessi diritti. Invece spesso non è così.
Non si parla invece del numero di lavoratori morti negli Stati Uniti d’America: nel 2017 sono 5.147 i morti sul lavoro e 95.000 i decessi per cause ad esso legate (50.000 dei quali connessi a malattie professionali legate a esposizione a sostanze chimiche). 275 lavoratori morti al giorno.
L’edizione 2019 di “Death on the Job: The Toll of Neglect”, il 28mo rapporto annuale sullo stato di sicurezza e protezione della salute per i lavoratori americani, presentato dall’AFL-CIO parla di quasi 3,5 milioni di impiegati in tutti i settori che hanno riportato traumi e malattie legate al lavoro (ma gli esperti affermano che, a causa delle limitazioni dell’attuale sistema di segnalazione degli infortuni, i dati reali sarebbero sottostimati e che il loro numero effettivo sarebbe due o tre volte maggiore, ovvero tra 7,0 e 10,5 milioni).
La verità è che, ancora oggi, in barba alle promesse dei politici di turno, alle dichiarazioni dei sindacati e ai festeggiamenti per il primo maggio, sono quasi tre milioni i lavoratori che ogni anno perdono la vita (gli incidenti sono almeno 374milioni) e forse la cosa più grave, come hanno confermato gli esperti dell’Ilo (Organizzazione Internazionale del Lavoro) gran parte di questi infortuni sarebbe evitabile. Azzerare o almeno ridurre sensibilmente il loro numero sarebbe un motivo valido per festeggiare il primo maggio, sarebbe questa la vera Festa dei Lavoratori. Fino a quando, invece, dei lavoratori moriranno di fatica per 35 dollari al mese o di tumore per non aver rinunciato al lavoro nell’unica grande azienda della zona, ci sarà ben poco da festeggiare.